lunedì 1 ottobre 2018

quaderno 35: OSSERVAZIONI PER UN RAGIONATO NO


Premessa

Il dibattito in corso sulla cosiddetta “riapertura” dei navigli esercita un fascino suadente e illusorio perché fa pensare ad un’esperienza di riscoperta, di scavo archeologico e di conseguente recupero a nuova vita di beni che, nel tempo, sono stati sottratti alla città da politiche poco lungimiranti.
La mistificazione «è di casa nell’urbanistica moderna. Nel secolo scorso obiettivi come il risanamento igienico e l’efficienza viabilistica hanno fatto velo sulle vere finalità dei piani urbanistici. Se nei bombardamenti della Seconda guerra mondiale Milano ha perso un quarto dell’edificato, in nome dell’igiene e dell’accessibilità automobilistica la città ha conosciuto altre due guerre in tempo di pace: quella ingaggiata dal piccone demolitore mussoliniano e poi quella condotta dal rinnovamento urbano degli anni della ricostruzione e del boom economico (quando si portavano a esecuzione molti dei piani messi a punto negli anni del fascismo)» (G. Consonni, “Dove è andata Milano. Dove andrà?”, in ArcipelagoMilano, 9 gennaio 2018).

Il progetto non ha nulla a che vedere con il recupero della propria storia, concerne solo uno scavo nuovo, una reinvenzione: la simulazione di un tracciato antico.
Nella sua “Lettera aperta agli ‘scoperchiatori facili’ dei Navigli” Gianni Beltrame osserva che «la questione della progressiva […] copertura del Naviglio, non può essere capita se non la si pone in relazione con la comprensione e la conoscenza della contemporanea crisi e decadenza del complessivo sistema di trasporto dei Navigli storici che la accompagna e della nascente ricerca di nuove alternative di trasporto e di assetto urbano. […]»; occorre, continua Beltrame «fare i conti, prima di lanciarsi in azzardate ipotesi di rilancio della navigazione di trasporto, con il significato e la portata della decadenza di questo decaduto e perduto sistema. Mentre rimangono tuttora ancora aperte, urgenti e ricche di potenzialità operative tutte possibilità di recupero per i Navigli esterni sopravvissuti».

Il progetto proposto appare come una inutile forzatura che si limita ad inserire un manufatto diventato assolutamente fuori contesto per le mutate condizioni al contorno: è del tutto evidente infatti che la monumentalità dei navigli non sia riconducibile solo alla loro essenza di manufatti per lo scorrimento delle acque, la pertinenza idraulica, ma vada considerata nella sua interezza, ovvero nella sua unità formale- funzionale storico-urbanistica.
Per quanto sopra una tale operazione risulta culturalmente, storicamente, urbanisticamente e perfino filologicamente senza fondamento.
Un esempio emblematico potrebbe essere proprio dato dalla tratta di via Melchiorre Gioia, dove oggi il naviglio Martesana restituito “en plen air” si troverebbe a relazionarsi con un edificato alquanto vario, non sempre gradevole e di certo non formalmente né funzionalmente collegato a quella storia.
Sicché la motivazione di una onerosa riapertura dei canali della Fossa interna non può certo essere reperita nell’intento quasi romantico di ripristinare, attraverso un segno d’acqua, un dialogo con un paesaggio oggi in gran parte non più esistente, ed occorre semmai cercarla altrove. Mettendo definitivamente da parte le seduzioni facili dei pregevoli dipinti di Inganni, Migliara, Carcano e simili e i richiami ai contenuti tra “poesia e immagini storiche come elementi di riferimento per la comunicazione del progetto”.


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